Game over al Maradona con i fischi che piovono sullo stadio del Dios. Fine dell’incubo verrebbe da dire. E fine anche dell’ultima speranza di agguantare un posto in Europa. Ma sopratutto fine di un ciclo
Il Napoli pareggia con il Lecce, chiude al decimo posto e dice definitivamente addio all’ultima speranza per la Conference. Dopo 14 anni di fila gli azzurri non giocheranno una competizione europea. Il tutto dopo lo scudetto dell’anno scorso. Da non crederci. Insomma il degno epilogo (si fa per dire) di una stagione disastrosa. Si è respirata un’atmosfera surreale al Maradona tra Napoli e Lecce nell’ultima partita del campionato con lo scudetto sul petto per i campioni d’Italia. Lo stadio resta muto per il solito quarto d’ora in segno di protesta e poi le due curve manifestano tutto il loro dissenso per una stagione disonorevole da parte degli ormai ex campioni d’Italia.
La partita passa in secondo piano. Anche perché in campo le squadre – il Napoli soprattutto che pure avrebbe ancora qualcosa da giocarsi in chiave Conference – fanno sbadigliare (eufemismo). Calzona si affida al solito spartito tattico, ma è costretto a lasciare Osimhen in panchina (il nigeriano non era ancora al top evidentemente): al suo posto Simeone.
Gli azzurri partono anche bene, ma soltanto perché il Lecce – ben messo in campo da Gotti – ha bisogno di qualche minuto per prendere le misure ai padroni di casa. Paradossalmente le azioni più pericolose di uno scialbo primo tempo sono tutte o quasi di marca ospite.
I salentini lasciano il pallino del gioco al Napoli che conferma tutte le sue carenze – mentali prima ancora che strutturali di questa folle stagione. Non solo. Gli ospiti si rendono pericolosi affidandosi alle ripartenze. Dorgu scheggia il palo all’alba del “match” (9′) e poi Berisha viene provvidenzialmente murato da Ostigard prima dell’intervallo. In mezzo un Napoli confuso, distratto, nervoso e spesso incapace di uscire dalle linee. Se a questo si aggiungono la sterilità offensiva di Simeone e la giornata storta di Politano (Calzona lascia entrambi negli spogliatoi nell’intervallo) il quadro è completo. E si va al riposo con un pareggio che quasi sta stretto al Lecce piuttosto che ai campioni d’Italia. Ma questa è la stagione dei paradossi.
Nel secondo tempo Ngonge – subentrato a Politano – si presenta con un bel sinistro che impegna seriamente Falcone. Gli azzurri alzano il ritmo e sfiorano il vantaggio poco dopo con Kvara e Cajuste. Lo svedese centra anche il palo (8′). Il Napoli ci crede, Kvara ispira Raspadori che alza la mira. Gotti corre ai ripari e cambia in corsa. Ma è ancora Ngonge che si mette in proprio entra in area, cambia piede e stavolta centra la traversa. Quando entra Osimhen, lo stadio è diviso tra fischi ed applausi (lo stesso capita quando Calzona richiama in panchina Di Lorenzo). Il Lecce regge, gestisce e prova a anche a spaventare con qualche azione di alleggerimento: (Oudin calcia a botta sicura al lato dai 20 metri).
L’ultimo sussulto capita sui piedi di Raspadori (41′) ma Jack pecca di egoismo e cerca gloria personale invece di servire Osimhen. Finsce così, tra le bordate di fischi del Maradona ed uno striscione emblematico che compare in curva B: “Né calore né folklore al fischio finale sparire in poche ore!”. E la squadra torna negli spogliatoi senza nepppure passare sotto le curve. Game over al Maradona. Adesso non resta che ricostruire.
Fonte: Il Mattino