Di seguito quanto riportato da Il Mattino
E se fosse il cambiamento climatico ad aumentare l’attività sismica dei Campi Flegrei? A porsi questa domanda è un gruppo di studiosi che ha incrociato gli strumenti delle scienze del clima e quelli della vulcanologia, dimostrando che il periodo di forti precipitazioni registrato tra le fine del 2017 e il 2018 è coinciso con una forte riduzione delle emissioni di gas dalla Solfatara di Pozzuoli, contribuendo all’aumento dell’attività sismica registrato l’anno successivo. A capo dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, Luca De Siena, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia Augusto Righi dell’Università di Bologna, insieme ad Antonella Amoruso e Luca Crescentini del Dipartimento di Fisica dell’Università di Salerno, e Simona Petrosino dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Dal lavoro scientifico sono arrivati interessanti risultati che suggeriscono «che il cambiamento climatico, e in particolare l’aumento delle temperature e delle precipitazioni intense può essere collegato all’attività vulcanica» e che «è possibile ottenere indicazioni sempre più accurate sui possibili effetti dei fenomeni climatici rispetto all’attività del sistema geotermale dei Campi Flegrei» come ha precisato De Siena.
L’influenza della pioggia
Gli studiosi si sono concentrati su un periodo, compreso tra la fine del 2017 e il 2018, in cui il livello delle piogge è stato nella norma, ma all’interno di un più ampio quadro di diffusa siccità tra il 2015 e il 2022. I dati analizzati hanno mostrato che questo periodo di maggiori precipitazioni è coinciso con una forte riduzione delle emissioni di gas dalla Solfatara di Pozzuoli, considerata la principale “valvola di sfogo” dei Campi Flegrei. La maggiore pressione accumulata tra il 2017 e il 2018 è stata poi rilasciata l’anno successivo sotto forma di eventi sismici. «I risultati del nostro studio suggeriscono che frequenti e prolungati fenomeni piovosi che si verificano all’interno di periodi di siccità contribuiscono a influenzare le risposte geofisiche e geochimiche legate ai processi geologici profondi. Riuscire a comprendere questi meccanismi potrebbe essere fondamentale per valutare il rischio vulcanico nel contesto dei Campi Flegrei e non solo» ha spiegato Luca De Siena. Quello dei Campi Flegrei è un sistema geotermale prototipico, in cui fluidi a forte pressione vengono spinti verso l’alto e aprono fratture all’interno delle formazioni rocciose superficiali. Come in tutti gli ambienti vulcanici, anche in questo caso i movimenti magmatici, gli aspetti geochimici e quelli ambientali sono fortemente collegati tra loro. Ed è noto che, rispetto al fattore ambientale, precipitazioni elevate e maree possono trasformare un sistema già iperpressurizzato in un sistema geotermale potenziato. «Nel corso del 2017 e 2018 si sono verificate le più intense e frequenti precipitazioni dal 2012, nel mezzo di un periodo di forte siccità durato cinque anni – ha proseguito De Siena – Questo fenomeno ha ridotto la permeabilità delle le argille che ricoprono e riempiono la Solfatara di Pozzuoli, riducendo l’afflusso di gas in superficie e aumentando lo stress del sistema geotermale». Questo stress accumulato si è liberato poi nei mesi successivi sotto forma di attività sismica: dal 2019, si osservano nella zona dei Campi Flegrei i più alti livelli sismici e i più alti tassi di deformazione del suolo mai registrati con strumenti scientifici moderni.
Il maggio da record
Quanto emerso dallo studio congiunto di Università di Bologna, Università di Salerno e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è di grande importanza per la conoscenza della complessa dinamica del sistema idrotermale dei Campi Flegrei, e avvalorerebbe le ipotesi di non coinvolgimento di magma nell’attuale crisi bradisismica avanzata da numerosi vulcanologi, e spiegherebbe anche l’intensa attività sismica che è presente solo in alcuni periodi. Come a maggio, in cui sono stati registrati 1.525 terremoti: un record numerico degli ultimi 40 anni, come l’evento sismico di magnitudo 4.4, dichiarato nel bollettino mensile dall’OV. Tuttavia dei 1.525 eventi sismici, 495 sono avvenuti nel corso di 11 sciami, tutti di bassa energia. Infatti, appena l’1,9% ha superato la magnitudo 2. Per confermare un eventuale coinvolgimento climatico, sarebbe interessante che il gruppo di ricerca incrociasse i dati anche di quest’ultimo lasso di tempo. Infatti, secondo il bollettino, i trend dei parametri geochimici durante questa fase di forte sismicità non sono cambiati, così come l’area interessata dal sollevamento (nella settimana dal 29 maggio è di 1 centimetro al mese). È giusto, quindi, poter ipotizzare altri coinvolgimenti come quelli climatici, dimostrati dallo studio dei fisici di Bologna e Salerno